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Sequestro di persona ed estorsione per riavere i soldi: una condanna

Un uomo di Alseno di 64 anni condannato a un anno e 11 mesi, ma la procura antimafia ne aveva chiesti 12. I giudici di Assise rivedono le accuse. L’uomo avrebbe sequestrato un parmense, costringendolo a firmare una delega per vendere due quadri di pregio: il piacentino voleva rientrare in possesso di 200mila euro che gli aveva dato come caparra

Colpo di scena al processo che vedeva un piacentino imputato di sequestro di persona e tentata estorsione: per cercare di riavere 200mila euro che aveva prestato a un uomo, lo avrebbe sequestrato e si sarebbe fatto firmare in bianco dai familiari una delega per vendere due quadri di pregio, un Cézanne e un Monet. Un processo che aveva visto le indagini affidate alla Dda (Direzione distrettale antimafia) di Bologna. Per il 64enne di Alseno, Giuliano Mora, la pubblica accusa aveva chiesto 12 anni di reclusione. La Corte d’Assise presieduta da Gianandrea Bussi (a latere Fiammetta Modica e sei giudici popolari) lo ha invece condannato a un anno e 11 mesi, riformulando i due capi di imputazione. Il sequestro di persona non era più finalizzato all’estorsione ma aveva lo scopo di coazione. La tentata estorsione, invece, è stata riqualificata in esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Essendo, però, un reato a querela di parte - e non essendoci stata alcuna querela - è finito nel nulla.

Il sequestro di persona a scopo di coazione è una nuova fattispecie, entrata in vigore a marzo 2018 con un Decreto legislativo. In sintesi, rischia da 25 a 30 anni chi sequestra e minaccia qualcuno per costringere una terza persona a fare qualcosa per liberare il sequestrato. La vicenda si era svolta, nel 2016, tra Alseno e il Basso Parmense. Mora, difeso dall’avvocato Mario L’Insalata, avrebbe sequestrato, nella propria abitazione un uomo della provincia di Parma, minacciandolo anche con una pistola (venne appoggiata su un bancone di un bar e mostrata, secondo al difesa che aveva evidenziato così la tentata estorsione). All’origine c’era, secondo le accuse del procuratore della Dda, Francesco Caleca, un debito di 200mila euro. In realtà, a contrarre il debito, non era stato il parmigiano, ma la sorella e il marito. Mora avrebbe così chiesto all’uomo di mettere la firma della madre su fogli lasciati in bianco, così da poter avere la delega a vendere due dipinti attribuiti a Cézanne e Monet. Secondo il pm, i due quadri avrebbero fruttato almeno 65mila euro, denaro che sarebbe andato ad abbattere il credito vantato. L’uomo di Parma venne rilasciato - in tutto il sequestro durò un paio di ore - solo quando i parenti della vittima firmarono i fogli che vennero, poi, consegnati a una terza persona, mai identificata. Nessuno denunciò il fatto alle Forze dell’ordine, perché, è stato detto in aula, «temevamo per le continue minacce di morte».

Mora aveva proposto, alla donna parmense e al marito nel 2005, la realizzazione di un poligono di tiro. Nacque una società e si trovò un terreno vicino a Fidenza. Mora versò 200mila euro come caparra, ma l’acquisto non ci fu e i soldi svanirono. Mora, arrabbiato per il mancato affare e perso i soldi aveva allora chiesto la restituzione dei soldi anticipati. Il 64enne sarebbe stato a conoscenza dei due quadri, e avrebbe pensato di venderli per recupeare la caparra. Ci fu anche un tentativo di vendita, che non si realizzò, perché nessuno compratore avanzò un offerta.

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